Papa Francesco
«I soldi, quelli veri, si fanno con il lavoro». Ed essere imprenditori significa anche fare in modo che il lavoro crei altro lavoro. Papa Francesco riflette su alcuni grandi temi dell’economia e del lavoro
«Il singolo può essere bravo, ma la crescita è sempre il risultato dell’impegno di ciascuno per il bene della comunità. Dico questo non per mortificare i singoli o per non riconoscere i talenti di ciascuno, ma per aiutarci a non dimenticare che nessuno può vivere isolato o indipendente dagli altri. La vita sociale non è costituita dalla somma delle individualità, ma dalla crescita di un popolo». A ricordarcelo è Papa Francesco, che così risponde su alcuni spunti di riflessione in tema di esistenza, comunicazione, economia.
Nel documento “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones - Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico”, la Santa Sede afferma che, per il suo corretto funzionamento, l’economia “ha bisogno di un’etica amica della persona”. Può spiegare questo punto?
«Con l’azione dell’esclusione colpiamo, alla radice, i legami di appartenenza alla società. Chi viene escluso, non è sfruttato ma completamente rifiutato. Non possiamo ignorare che una economia così strutturata uccide, perché mette al centro e obbedisce solo al denaro: quando la persona non è più al centro, quando fare soldi diventa l’obiettivo primario e unico, siamo al di fuori dell’etica e si costruiscono strutture di povertà, schiavitù e di scarti».
Vuol dire che siamo in un contesto valoriale nemico della persona?
«Abbiamo un’etica non amica della persona quando non siamo capaci di porgere l’orecchio e di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri. Un’etica amica della persona tende al superamento della distinzione rigida tra realtà votate al guadagno e quelle improntate non all’esclusivo meccanismo dei profitti, lasciando un ampio spazio ad attività che costituiscono e ampliano il cosiddetto terzo settore. Esse, senza nulla togliere all’importanza e all’utilità economica e sociale delle forme storiche e consolidate di impresa, fanno evolvere il sistema verso una più chiara e compiuta assunzione delle responsabilità da parte dei soggetti economici. Infatti, è la stessa diversità delle forme istituzionali di impresa a generare un mercato più civile e al tempo stesso più competitivo».
Nello stesso documento in cui è esplicito il messaggio perché l’attività finanziaria sia al servizio dell’economia reale, e non viceversa, colpisce l’appello alle scuole dove si formano i manager e i capitani d’industria del futuro. Su quali parametri dovrebbero essere formati i manager?
«Dietro ogni attività c’è una persona umana. Essa può rimanere anonima, ma non esiste attività che non abbia origine dall’uomo. L’attuale centralità dell’attività finanziaria rispetto all’economia reale non è casuale: dietro a ciò, è la scelta di qualcuno che pensa, sbagliando, che i soldi si fanno con i soldi. I soldi, quelli veri, si fanno con il lavoro. È il lavoro che conferisce la dignità all’uomo non il denaro. La disoccupazione che interessa diversi Paesi europei è la conseguenza di un sistema economico che non è più capace di creare lavoro, perché ha messo al centro un idolo, che si chiama denaro ».
Ma come si fa a lottare contro l’idolo-denaro?
«In questo momento nel nostro sistema economico al centro c’è un idolo, e questo non va bene: lottiamo tutti insieme perché al centro ci siano piuttosto la famiglia e le persone. La distribuzione e la partecipazione alla ricchezza prodotta, l’inserimento dell’azienda in un territorio, la responsabilità sociale, il welfare aziendale, la parità di trattamento salariale tra uomo e donna, la coniugazione tra i tempi di lavoro e i tempi di vita, il rispetto dell’ambiente, il riconoscimento dell’importanza dell’uomo rispetto alla macchina e il riconoscimento del giusto salario, la capacità di innovazione sono elementi importanti che tengono viva la dimensione comunitaria di un’azienda».
Cosa fa bene all’azienda?
«Il modo di pensare l’azienda incide fortemente sulle scelte organizzative, produttive e distributive. Si può dire che agire bene rispettando la dignità delle persone e perseguendo il bene comune fa bene all’azienda. C’è sempre una correlazione tra azione dell’uomo e impresa, azione dell’uomo e futuro di un’impresa. Il Beato Paolo VI (proclamato santo il 14 ottobre), nell’enciclica “Populorum progressio” scriveva: “Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Com’è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto: “Noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera”».
Quali sono, a Suo giudizio, i “giusti” limiti del profitto?
«Il mondo economico, se non viene ridotto a pura questione tecnica, contiene non solo la conoscenza del come (rappresentato dalle competenze) ma anche del perché (rappresentata dai significati). Una sana economia pertanto non è mai slegata dal significato di ciò che si produce e l’agire economico è sempre anche un fatto etico. Tenere unite azioni e responsabilità, giustizia e profitto, produzione di ricchezza e la sua ridistribuzione, operatività e rispetto dell’ambiente diventano elementi che nel tempo garantiscono la vita dell’azienda. Da questo punto di vista il significato dell’azienda si allarga e fa comprendere che il solo perseguimento del profitto non garantisce più la vita dell’azienda».
Gli industriali italiani si battono per una società aperta e inclusiva. Cosa è necessario, a Suo giudizio, perché un imprenditore sia un “creatore” di valore per la sua azienda e per gli altri, a partire dalla comunità in cui vive e lavora?
«Ricordo l’incontro che nel febbraio del 2016 ho avuto con l’Associazione (Confindustria, n.d.r.). Ricordo tanti volti dietro ai quali c’erano passione e progetti, fatica e genialità; dicevo che ritengo molto importante l’attenzione alla persona concreta che significa dare a ciascuno il suo. Significa saper dirigere, ma anche saper ascoltare, condividendo con umiltà e fiducia progetti e idee. Significa fare in modo che il lavoro crei altro lavoro, la responsabilità crei altra responsabilità, la speranza crei altra speranza, soprattutto per le giovani generazioni. Credo sia importante lavorare insieme per costruire il bene comune e un nuovo umanesimo del lavoro, promuovere un lavoro rispettoso della dignità della persona, sapendo che il bene delle persone e il bene dell’azienda vanno di pari passo».
Quale apporto, dunque, Lei chiede alle imprese?
«Le imprese possono dare un forte contributo affinché il lavoro conservi la sua dignità riconoscendo che l’uomo è la risorsa più importante di ogni azienda, operando alla costruzione del bene comune, avendo attenzione ai poveri. So che in molte aziende si dà un giusto spazio alla formazione. Sono convinto che gioverebbe molto a un’azienda completare la formazione tecnica con una formazione ai valori: solidarietà, etica, giustizia, dignità, sostenibilità, significati sono contenuti che arricchiscono il pensiero e la capacità operativa».