Come cambiano i fiumi
Studiare i reticoli idrografici dei corsi d’acqua per capirne le dinamiche e sviluppare politiche di protezione
I fiumi hanno sponde, tracciati e foci che raramente cambiano sotto i nostri occhi: normalmente siamo abituati a ritenerli elementi statici del paesaggio. In realtà i corsi d’acqua sono oggetti vivi, che si espandono e si contraggono come un battito cardiaco, in risposta soprattutto al variare delle condizioni climatiche. E i cambiamenti che riguardano i reticoli acquatici possono avere implicazioni importanti da vari punti di vista: sulla biologia, sulla chimica, sulla fisica dell'alveo fluviale… Si occupa di questo il progetto “DyNet”, un Erc (www.erc-dynet.it) di cui è destinatario il professor Gianluca Botter dell’Università di Padova. Obiettivo è monitorare i cosiddetti “fiumi temporanei” - quelli che per alcune parti dell’anno si asciugano - per capirne le caratteristiche e i servizi ecosistemici connessi, e sviluppare politiche di protezione ad hoc. “Stiamo facendo misurazioni sperimentali su quattro bacini, che individuano reticoli molto diversi per condizioni ambientali complessive”, spiega Botter. E quindi un fiume prealpino svizzero, uno nel cuore delle Dolomiti, uno nel Viterbese e uno in Calabria, dove l’aridità è molto più alta. “Abbiamo utilizzato tecniche innovative per mappare questi bacini ed effettuato centinaia di osservazioni, realizzando un database unico, di cui siamo molto fieri: perché il lavoro sperimentale è stato duro, e ha integrato varie tecniche, dal camminare lungo il reticolo con il Gps, all’utilizzo di droni e di camere termiche o multispettrali per rilievi, fino alle fototrappole”. Anche a livello teorico, il progetto ha già dato risultati importanti. “Abbiamo compreso la ratio attraverso cui le varie parti di un reticolo si accendono e si spengono - continua il professore - C’è un ordine gerarchico basato sul concetto di persistenza, e mano a mano che il fiume si espande si accendono i tratti meno persistenti. Una scoperta che ha molte ripercussioni: ci consente di prevedere lo stato di nodi che non sono stati osservati, e facilita le operazioni di monitoraggio, che altrimenti sarebbero problematiche. Infine, abbiamo studiato come il clima condiziona in maniera decisa l'estensione del reticolo attivo: nelle zone più aride la variabilità relativa della lunghezza è più marcata nel tempo; nei climi umidi le fluttuazioni sono più ridotte”. Nei prossimi anni si cercherà di ampliare il dataset a disposizione: “Affinando le tecniche di monitoraggio e coinvolgendo anche chi si trova sui territori e può osservare direttamente lo stato del reticolo, per avere dati sempre più affidabili”.