Il diabete di tipo 2? Guarire si può
Una serie di ricerche dell’Università di Pisa prova a dimostrarlo a livello cellulare e molecolare
Il diabete di tipo 2 - da sempre considerato una malattia cronica - può essere guarito. E una buona dieta, che rappresenta spesso la soluzione a vari problemi di salute, è determinante anche in questa malattia metabolica. Non è ancora il caso di cantare vittoria, ma i risultati delle ricerche condotte all’interno di vari progetti europei - dei quali è partner a vario titolo l’Università di Pisa - motivano un certo ottimismo. “Si era già visto che con interventi chirurgici sull’apparato gastrointestinale su soggetti obesi, per una buona percentuale di queste persone scompare il diabete - racconta il professor Piero Marchetti dell’Ateneo e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria pisani - Più recentemente, è emerso il fatto che anche con approcci di tipo dietetico - diete abbastanza severe, ma comunque
accettabili - si possono ottenere risultati simili, con diversi pazienti che ritornano ad avere livelli normali di glicemia”. Partendo da queste basi, l’H2020 “Rhapsody” cerca di andare oltre. “Dobbiamo ancora capire i meccanismi coinvolti e i motivi per cui gli esiti positivi non riguardano tutti i pazienti. Stiamo lavorando in laboratorio, utilizzando le beta cellule (che producono insulina e si ‘ammalano’ nel diabete di tipo 2), esponendole prima a situazioni in cui si aumentano le concentrazioni di glucosio e grassi (simili cioè a quelle del diabete), e dimostrando che presto le beta cellule non sono più in grado di funzionare. Ma le stesse beta cellule, poi, una volta riportate in ambiti ‘sani’, ritornano ad avere comportamenti normali. Esattamente come accade a molti dei pazienti testati dal vero. E abbiamo cercato di capire il
perché di questi miglioramenti, individuando una serie di meccanismi molecolari che si associano al danno metabolico, e alla ‘guarigione’ delle beta cellule”. È già un risultato scientifico notevole, ma che lascia aperti alcuni interrogativi: perché non tutti i pazienti guariscono? Perché una parte di loro, dopo essersi ripresa, in un secondo momento torna ad avere il diabete? Quali meccanismi molecolari motivano queste differenze? “Cerchiamo di rispondere anche a queste domande, confrontando le caratteristiche molecolari di cellule che migliorano e che non migliorano, per capire se trattamenti farmacologici specifici possano servire per quelle beta cellule che da sole non recuperano. È l’obiettivo della fase finale di
Rhapsody”. In parallelo, un altro H2020 di cui è partner l’Università di Pisa ha “gemmato” un progetto parallelo (“Innodia Harvest”), in cui le informazioni raccolte vengono trasferite a studi clinici per la prevenzione e la cura precoce del diabete di tipo 1. La ricerca continua.