Medicina palliativa per la terapia intensiva
Un nuovo approccio etico che punta a una migliore qualità della vita del paziente
Le statistiche mondiali dimostrano che integrare le cure palliative il prima possibile nel paziente critico riduce la durata della degenza in terapia intensiva, senza modificare la mortalità. È su questo delicato tema che opera il consorzio di Enhancing Palliative Care in Icu (Epic), un Horizon Europe appena avviato e destinato a durare fino al 2028, coordinato dall’Università Charitè di Berlino e partecipato da realtà di cinque Paesi; fra i partner c’è anche l’Università di Perugia. Un progetto che punta innanzitutto a un cambio di paradigma nell’approccio al problema, in primo luogo nei Paesi dell’Europa del sud, Italia compresa. “Da noi, in generale, l’allocazione del paziente post terapia intensiva si basa oggi esclusivamente considerando gli aspetti medici, non comprende un supporto al paziente e alla famiglia. È un problema culturale, siamo lontani dal considerare la cura della persona e le sue aspettative di vita in maniera olistica”. Parole del professor Edoardo De Robertis dell’Università di Perugia, responsabile del progetto per l’ateneo umbro e già presidente della Società Europea di Anestesiologia e Terapia Intensiva, a sua volta partner di Epic. “Affrontiamo il progetto con un approccio molto etico - conferma il professore - Iniziare presto le cure palliative, fin dalla terapia intensiva, è intanto un modo per ridurre la degenza in quel contesto, associando un’offerta terapeutica adeguata alle aspettative e qualità di vita del paziente. E, se vogliamo, rappresenta anche un risparmio economico per il sistema. Dobbiamo spostare l’attenzione dal mero, a volte afinalistico, prolungamento della vita alla qualità della vita stessa e al supporto terapeutico al paziente e alla famiglia. Con l’obiettivo, quando possibile, di accelerare il trasferimento del paziente in strutture adeguate, o di riportarlo a casa, confermando però la stessa attenzione nell’offerta curativa”. L’obiettivo, dunque, è attivare comportamenti che aiutino la persona ricoverata: “Lavorare sul dolore, sulla nutrizione, sul supporto psicologico sull’ansia e lo stress… Ma per riuscirci bisogna cambiare mentalità, e anche svolgere una adeguata formazione del personale ospedaliero”. Cosa che accadrà anche a Perugia, presso la Clinica Universitaria di Anestesia e Rianimazione del Santa Maria della Misericordia, dove il professor De Robertis opera: “È un’innovazione che vogliamo portare sul nostro territorio”. Dallo studio “madre”, che vedrà coinvolti 2.000 pazienti a livello europeo, ne deriveranno altri, a cascata: per capire gli ostacoli, istituire gruppi di supporto a livello europeo, sviluppare supporti decisionali, fornire indicazioni etiche ai decisori.
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