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Bioreattore che ospita tessuto osseo

Modelli d’osso in vitro per curare l’osteoporosi

Fra gli obiettivi della ricerca, anche migliorare le interazioni fra i vari soggetti che ne applicheranno i risultati concreti

Le patologie ossee sono molto diffuse in tutto il mondo: si va dalle conseguenze di eventi traumatici fino all’osteoporosi, una malattia che si stima che affligga 200 milioni di donne sul nostro pianeta. Una modalità che si va imponendo nella ricerca di soluzioni mediche al problema innovative e specifiche per anziani e donne è quella di sviluppare modelli cellulari in vitro di tessuto osseo, che servano allo screening dei farmaci prima del loro uso clinico. Di questo si occupa “Osteonet”, un progetto Msca Horizon Europe giunto già a tre quarti del cammino. Nei modelli in vitro cellule del paziente sono seminate in supporti porosi e hanno bisogno di un ambiente controllato per vivere, proliferare e formare un costrutto simile all’osso. La ricerca parte da appositi bioreattori dinamici in cui adeguati stimoli vengono somministrati alle cellule per guidarne lo sviluppo e la riorganizzazione come nell’osso. “Cerchiamo di comprendere i meccanismi di interazione tra diverse cellule primarie dell’osso e i supporti a cui aderiscono”, sottolinea il professor Gerardo Catapano dell’Università della Calabria, coordinatore di una partnership che coinvolge 14 soggetti accademici, ospedalieri e industriali di sei diversi Paesi europei. “L’obiettivo scientifico del progetto è pervenire a modelli cellulari simili al tessuto osseo sano e osteopenico e a sistemi sperimentali che simulano le modalità con cui i farmaci sono presentati all’osso naturale”. Un altro aspetto innovativo e originale è sviluppare protocolli per la crio-conservazione dei modelli di tessuto ottenuti così da poterli usare al bisogno (off-the-shelf).
“Osteonet” (che è parte del programma Marie Curie) ha però anche un altro grande obiettivo: la formazione. Non solo dei ricercatori - a fine progetto ne saranno coinvolti cinquanta - ma anche del personale che dovrà poi usare i modelli d’osso per testare farmaci in clinica e nei laboratori di sviluppo.
“È un aspetto molto rilevante del nostro lavoro, con un impatto certamente superiore a quel che ci si può aspettare - proseguono Catapano e l’ingegner Falvo D’Urso Labate di Cellex Srl - Partiamo da una considerazione: nel passato l’uso clinico di dispositivi innovativi per terapie avanzate (per esempio, un fegato bioartificiale) è stato limitato dalla difficoltà del personale clinico e biologico a usarli. Ecco perché abbiamo previsto scambio di personale tra industria e accademia, per formare nuove figure professionali per aziende e università. La gestione di modelli cellulari di tessuti o organi è difficile: speriamo di superare questi limiti sviluppando sistemi più facili da usare e formando il personale che li userà”.

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