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Un micro-laboratorio spaziale

Il futuro dell’esplorazione umana del Sistema Solare comincia con un rivoluzionario progetto europeo

Immaginate un laboratorio miniaturizzato, non più grande di un chip, che viaggia attraverso lo spazio profondo. Questo dispositivo potrebbe essere la chiave per aprire le porte all’esplorazione umana del Sistema Solare. È questo l’obiettivo ambizioso del progetto europeo Alcyone, che sta rivoluzionando il modo in cui studiamo gli effetti dei viaggi interplanetari sugli organismi viventi. Prima di inviare astronauti su Marte, è fondamentale comprendere come le ostili condizioni dello spazio interplanetario influenzino le cellule viventi. Le radiazioni ionizzanti, in particolare, rappresentano una delle maggiori sfide per i futuri viaggiatori spaziali. Alcyone, nato dalla collaborazione tra la Sapienza Università di Roma e l’Università di Bologna, affronta questa sfida con un sofisticato “laboratorio su chip” progettato per essere integrato in nanosatelliti. Il dispositivo combina microfluidica e sensori avanzati su un substrato di vetro, creando un ambiente controllato per lo studio delle cellule in condizioni spaziali. “Il nostro approccio è originale”, spiegano il professor Augusto Nascetti della Scuola di Ingegneria Aerospaziale della Sapienza, coordinatore del progetto, e la professoressa Mara Mirasoli del Dipartimento di Chimica dell’Università di Bologna. “Stiamo integrando diversi tipi di cellule, dalle più semplici alle cellule di mammifero, in un unico dispositivo. Questo ci permetterà di raccogliere dati più completi e rilevanti per l’organismo umano”. Una delle caratteristiche più innovative di Alcyone è l’uso di cellule geneticamente modificate per produrre bioluminescenza in risposta a danni cellulari causati dalle radiazioni.

“È come se le cellule potessero ‘parlare’ direttamente con noi”, sottolineano i ricercatori. “Ci diranno quali tipi di stress stanno subendo durante il viaggio spaziale”. Il progetto, ora a metà del suo percorso, mira a creare un sistema capace di operare autonomamente una volta integrato in un satellite.

“Una volta nello spazio, il nostro unico contatto sarà attraverso la telemetria”, spiegano Nascetti e Mirasoli. “Ogni componente deve essere perfettamente calibrato e affidabile”.

Alcyone è il risultato di una collaborazione internazionale che vede coinvolti anche l’Università di Tor Vergata per l’ingegnerizzazione di cellule batteriche, l’Università di Twente per la rete microfluidica, Kayser Italia per il sistema di controllo fluidico e il Karlsruhe Institute of Technology per un innovativo sensore di radiazioni.
Questo progetto rappresenta un passo cruciale verso la realizzazione di missioni umane interplanetarie. Fornendo dati preziosi sugli effetti biologici dei viaggi spaziali di lunga durata, Alcyone sta aprendo nuove frontiere nella ricerca spaziale, gettando le basi per il futuro dell’umanità tra le stelle”. 
 
 

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