Un modello 3D per combattere il Covid
Il network europeo “CellFit” è sceso in campo per aiutare la lotta al virus
L’emergenza planetaria legata al Covid-19 ha inevitabilmente polarizzato l’attenzione di molti ricercatori, che hanno concentrato i loro sforzi su ricerche mirate a combattere il Coronavirus. È quello che accade anche al pool di esperti - atenei, ricercatori, società - che fanno parte del network europeo COST “CellFit”, guidato dall’Università di Milano.
Se l’obiettivo iniziale era quello di creare modelli 3D in vitro di organi e tessuti, negli ultimi mesi l’azione ha scelto di concentrare i propri sforzi sul Covid.
“Abbiamo capito che potevamo utilizzare le nostre capacità per produrre modelli applicabili al virus” spiega la professoressa Tiziana Brevini, responsabile del network. “Oggi siamo parte di una Task
Force intereuropea - composta da epidemiologi, medici, bioingegneri ognuno con il suo contributo - nella quale ci occupiamo di costruire modelli tridimensionali dei substrati che vengano attaccati dal Covid”.
Questa metodica permette di realizzare in laboratorio un modello di vie respiratorie, su cui i ricercatori testano particelle che hanno la forma e la dimensione del virus. Si tratta in pratica di un’infezione simulata senza alcun pericolo né per gli operatori né per la collettività. “Utilizzando nanoparticelle possiamo quindi mimare uno dei due meccanismi usati dal Covid per entrare nelle cellule - continua
Brevini - L’idea è molto promettente: già alcune riviste importanti hanno riconosciuto in questa ipotesi una strategia vincente. Il sogno è quello di bio-ingegnerizzare il virus e di creare una sorta di Covid artificiale che non sia più infettivo.
Sarebbe il modello perfetto, anche se non facile”.
Una strategia che prosegue anche oltre le sfide contingenti di questo Coronavirus: “Ha preso infatti forma un progetto più ampio che, oltre a contrastare la attuale emergenza, potrà essere efficace nelle eventuali pandemie future.
Nei mesi scorsi, uno dei problemi principali nell’affrontare il virus è stato anche la gestione troppo parcellizzata, per cui un Paese non sapeva cosa faceva l’altro. Serve, infatti, un cluster più articolato fra le situazioni trasversali, che sarebbe un vantaggio per tutti”.