Un vettore non virale per editare il genoma
Alla di un sistema di editing fotoattivabile che possa, un domani, applicarsi anche all’uomo
Un nuovo vettore, appena creato e testato. Una nano-formulazione - pensata come una sorta di crema - che si applica a un punto della pelle in cui è presente un melanoma, e poi viene esposta a un raggio laser, con l’obiettivo di dare vita a un intervento efficace dal punto di vista terapeutico. In estrema sintesi, è questo lo scopo del progetto “I-Gene”, un H2020 da poco avviato, che nell’arco di 50 mesi dovrà sviluppare nuovi prodotti da utilizzare per modificare il genoma di organismi modello a scopo biotecnologico e, possibilmente, anche una nuova tecnica che, in prospettiva, si possa applicare finalmente anche alla terapia genica sull’uomo. Il tema è importantissimo ma delicato. “Fare editing del genoma significa riscriverlo, in certi punti”, spiega la professoressa Vittoria Raffa del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, coordinatrice del progetto, che nell’ateneo toscano viene seguito in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Traslazionale del professor Mauro Pistello. “Se un gene fa insorgere una certa patologia, l’editing interviene direttamente sul genoma, per curare il gene malato. Oggi è un’operazione possibile, grazie a ‘forbici molecolari’ che operano una sorta di ‘taglia e cuci’ nel Dna. Sono strumenti perfetti a livello biotecnologico, ma tecnicamente non sono ancora accettabili come farmaci per l’uomo: se la forbice molecolare taglia nel punto sbagliato (e a volte capita) si può causare addirittura la morte della cellula o, peggio, l’insorgenza di una malattia nel soggetto. Per questo nell’uomo la principale applicazione è quella ex vivo - per esempio con le cellule tumorali del sangue, isolate, trattate e poi reinserite - ma non sul paziente vero e proprio”. Ecco allora la necessità di andare oltre. “Il nostro progetto intende realizzare un sistema di questo tipo, che sia fotoattivabile. L’attivazione del farmaco potrebbe dunque avvenire solo sulla cellula o sul tessuto malato, essendo sicuri di non poter far danni alle cellule sane. Per l’attivazione usiamo un laser, e come caso specifico lavoriamo sul melanoma, che è un tumore della pelle. La sfida è trovare un laser ottimale - come intensità e lunghezza d’onda - che non sia tossico, e sia sufficiente ad attivare questo vettore”. Nei primi mesi di lavoro, il vettore è stato appunto costruito e poi validato (dal punto di vista fisico, chimico, biologico e ottico). Ora è arrivato l’apparecchio laser sviluppato ad hoc da un partner industriale del progetto: nei prossimi mesi si inizierà finalmente la sperimentazione su embrioni di zebrafish.