L’antibiotico non basta più. Serve il paziente
Un progetto che lavora su un cambio di paradigma per la medicina tradizionale: alle infezioni si deve rispondere in maniera integrata
Per decenni, fin dal dopoguerra, la medicina ha puntato sugli antibiotici per vincere qualsiasi tipo di infezione, fosse essa causata da virus, batteri o funghi: una volta individuato il microrganismo ritenuto responsabile, ecco la terapia antibiotica, e tutto sembrava a posto.
Oggi il paradigma sta cambiando: le recenti ricerche hanno fatto capire che occorre anche una componente individuale del paziente, in termini di capacità o meno di resistere a una determinata infezione. Senza dire che gli antibiotici da soli, a volte, possono addirittura essere nocivi, se si sviluppa la resistenza antimicrobica. È tempo di attuare un approccio transdisciplinare per identificare terapie personalizzate che tengano conto del cosiddetto rapporto “ospite-patogeno” al fine di migliorare prognosi e sopravvivenza dei pazienti a rischio di infezione.
Di questo aspetto si occupa il progetto “Hdm-Fun”, un H2020 da 10 milioni di finanziamento coordinato dall’Università olandese di Nimega, di cui è partner anche il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Perugia. “Il progetto raccoglie i frutti (e ne è la naturale prosecuzione) di risultati precedentemente ottenuti in modelli preclinici di infezioni fungine che sono ancora associate a un tasso di mortalità e morbilità inaccettabilmente elevato”, sottolinea la professoressa Luigina Romani, responsabile del progetto per l’ateneo umbro e da sempre fra le “pioniere” in Europa di questo approccio. Si mira a identificare, dapprima, i fattori del paziente, principalmente la qualità della sua risposta immunologica nonché del suo microbiota intestinale e polmonare, che possano concorrere al rischio di infezione fungina in diverse coorti di pazienti in terapia intensiva (inclusi pazienti con infezione da Sars-CoV2 o virus influenzale). Una conoscenza pregiudiziale per la successiva impostazione terapeutica volta al ripristino della funzionalità immunologica, capace di aumentare la resistenza del paziente all’infezione e di ottimizzare la profilassi antifungina.
In tal senso, nell’ambito del progetto sono in corso due studi clinici pionieristici di “host-directed medicine”, Hdm per l’appunto. In definitiva: a fine progetto, nel 2026, “Hdm-Fun” potrà fornire non solo una proposta complementare alle attuali terapie antiinfettive per quanto riguarda le infezioni fungine; ma anche fornire le basi concettuali di un “breakthrough” terapeutico in ambito infettivologico più generale, grazie alla messa in campo di tecnologie “omiche” di innovazione, come immunomica, metagenomica e metabolomica.