Nuove galassie che parlano italiano, progetto James Webb Telescope
Del team che collabora al programma di osservazione spaziale del James Webb Telescope fa parte lo staff di Cosmologia e Astrofi sica della Scuola Normale Superiore di Pisa
C’è anche un significativo contributo italiano in quella che potrebbe essere una delle più importanti scoperte scientifiche del nuovo millennio. Mandato in orbita da circa un anno, il “James Webb” - il più grande telescopio spaziale mai costruito, realizzato grazie alla collaborazione tra le agenzie spaziali Nasa, Esa e Csa - ha scoperto l’esistenza di un certo numero di galassie talmente lontane dal nostro sistema solare che le ricerche basate sui telescopi precedenti le avevano solo ipotizzate. Proprio a causa di questa lontananza, e vista la velocità con cui la luce si propaga nello spazio, l’immagine che arriva al “James Webb” risale a circa 400 milioni di anni dopo il Big Bang, ovvero più di 13 miliardi di anni fa. Come a dire che abbiamo la possibilità di verificare cosa avviene alla “preistoria” di una galassia: il che è rilevante sia in termini assoluti sia per conoscere qualcosa di più sulla storia e l’evoluzione della galassia a cui appartiene anche la Terra. Del gruppo di scienziati che collabora al programma di osservazione spaziale del James Webb Space Telescope fa parte il gruppo di Cosmologia e Astrofisica della Scuola Normale Superiore di Pisa, coordinato dal professor Andrea Ferrara. Tra i protagonisti di questa scoperta c’è Stefano Carniani, giovane ricercatore pisano, il “principal investigator” del progetto “Wings”, dedicato appunto allo studio delle galassie primordiali.
“Facendo un confronto con la nostra galassia - spiega Carniani - la prima cosa che salta agli occhi delle lontane galassie appena scoperte è il fatto che sono molto più piccole e compatte rispetto alla Via Lattea, ma stanno formando un elevato numero di stelle, più della nostra galassia allo stato attuale. Perché sono così luminose, molto più di quel che prevedessero i modelli teorici? È una domanda che ci sta appassionando, e probabilmente andrà rivisto il modello della fisica ‘microscopica’ delle galassie”.
Alle prime avvisaglie dell’epocale scoperta, alcuni media hanno ipotizzato che questa novità mettesse in discussione l’ormai consolidata logica del Big Bang. “Non credo che si arrivi a dubitare della teoria del Big Bang: piuttosto è possibile che si debbano rivedere le nostre conoscenze sull’evoluzione dell’universo dopo il Big Bang”, commenta Carniani. “Il nostro gruppo di ricerca, che si occupa di questo argomento sia a livello sperimentale sia a livello teorico - di quest’ultimo aspetto è direttamente responsabile il professor Ferrara - è molto più guardingo rispetto alle ipotesi rivoluzionarie: più nel concreto, stiamo rivedendo la fisica che regola le proprietà delle galassie”. È intuitivo che studiare le “nuove” galassie, ma a uno stato di crescita molto embrionale, può aiutare i cosmologi a farsi un’idea migliore di quel che è successo all’alba del cosmo. “Da quello che possiamo intuire grazie ai nuovi dati e a differenza di quello che si riteneva fino a pochi anni fa, agli albori dell’universo le galassie presentano una morfologia a disco, simile a quella della nostra Via Lattea. Il fatto che nelle fasi iniziali della vita di queste galassie si sia formato velocemente un gran numero di stelle rappresenta un’altra novità che si contrappone a quanto ritenuto in precedenza”.
La scoperta è recentissima, e certamente foriera di ulteriori approfondimenti. Ma cosa significa, anche emotivamente, per chi l’ha effettuata? “Se posso fare un paragone semplice, è come aver messo gli occhiali a una persona che ci vedeva poco. Grazie a James Webb, oggi vediamo cose che prima potevamo solo immaginare: questo ha aperto una nuova visione e una nuova metodologia della ricerca, ora basata su dati portati da un telescopio che è in orbita da poco più di un anno. È un risultato straordinario, non pensavamo che le capacità del telescopio fossero così grandi: naturalmente speriamo di poterci spingere ancora oltre, di trovare galassie ancora più distanti, magari in fasi ancora più embrionali. Anche se non credo che si possa mai arrivare al Big Bang”.